La laicità europea: identità e funzione planetaria

 

Franco Cambi

 

1.  L’Unità/pluralismo dell’Europa e lo spirito di laicità

 

Già dal punto di vista storico l’Europa emerge come una costruzione strutturalmente  complessa. Intanto ha bisogno di mille anni per costituirsi, come ci ricorda Lopez (gli anni del Medioevo). Ha alle spalle la res publica  romana e la sua cultura, letteraria ma anche scientifica e del diritto, soprattutto, su cui sempre più idealmente l’Europa si incardina come ripresa e prosecuzione. Ha alla base la res publica christiana, la Chiesa e il cristianesimo che si fanno cemento comune, pur aprendosi alle tensioni ereticali e a una storia drammatica di differenze teologiche e ecclesiali. Ha poi al centro la ripresa economica delle città, dell’economia di scambio e la nascita del protocapitalismo, ma – nel contempo e nello stesso periodo storico: il basso Medioevo – la crescita delle nazioni, degli stati nazionali e delle loro tradizioni linguistiche e letterarie.

L’Europa è nata da un lungo e complesso travaglio storico, ma – a nascita avvenuta – si presenta come un organismo assai particolare in cui unità e pluralismo, omogeneità e differenza si saldano insieme e/o si alternano al fondo di quella coscienza comune che, però, si carica sempre anche di tensioni, di sfide, di utopie e di esclusioni. Se il Settecento col suo Illuminismo può essere indicato come il tempo compiuto di quella unità culturale, morale e civile europea, che secolarizza l’animus  cristiano dell’Europa e dei suoi principi-valori, il Novecento è stato – invece – il secolo dei nazionalismi e dei razzismi che dalla prima guerra mondiale alle guerre della ex-Jugoslavia ha messo a nudo l’altro volto dell’Europa, divisionista e conflittuale, per poi venire a ricomporsi nell’Europa di Maastrich e del dopo-1989 con l’avvio della Comunità europea che si è lasciata definitivamente alle spalle la lotta per l’egemonia tra le potenze europee. Allora Europa  significa unità-nella-differenza e capacità di dialogo tra popoli che per lingue, etnie, tradizioni appartengono a identità diverse, ma che pure si saldano a principi-valori condivisi, cristiani o ex-cristiani, borghesi, illuministici che fanno da plafond  a questa coscienza comune. Valori di razionalità e di efficienza, ma – insieme – valori legati all’individuo, alla libertà di coscienza, alla libertà tout court  e alla solidarietà, al rispetto dei diritti umani; valori che stanno consolidandosi e crescendo nella coscienza comune europea e che ci appaiono, oggi, come il vero traguardo della complessa e travagliata storia dell’Europa stessa.

Guardata dall’oggi, infatti, la storia d’Europa si delinea non solo come area di conflitti, di lotte, di persecuzioni, di roghi, di pulizie etniche, etc., bensì anche e soprattutto come il lento cantiere di una nuova coscienza sociale e civile che, forse, proprio nei nostri anni viene nettamente a delinearsi e a delinearsi su scala planetaria come la forma-della-coscienza civile nel tempo della Globalizzazione e delle Sfide planetarie (dall’ecologia allo “sviluppo sostenibile”). Tale forma-della-coscienza civile è legata, in particolare, al principio della laicità, che possiamo indicare – nel suo complesso – come il prodotto più maturo della storia europea e un principio inedito o quasi nella storia del mondo, nato proprio da quel travaglio carico di conflitti che è stata la storia d’Europa dopo il Medioevo e che ne ha trascritto, con la Secolarizzazione, i principi etici legati alla tradizione cristiana, applicandoli all’interno di una comunità civile.

Laicità significa unità nel pluralismo, tolleranza e rispetto reciproco, valorizzazione della coscienza individuale, impegno civile e solidarietà sociale. Laicità significa partecipazione alle istituzioni (Stato, Chiesa, Partiti) senza  entificarle in soggetti autoritari e condizionanti, senza  farli Soggetti della Storia e dei Destini individuali. Laicità significa etica della responsabilità (più che etica della convinzione) ma connessa a quell’etica della comunicazione che implica il rispetto e il dialogo come valori-chiave e come mezzi-principe. Laicità significa un ethos diffuso che nelle differenze riconosce occasioni di arricchimento di una cultura (e non una minaccia) e una sfida ai propri pregiudizi, quindi lo stimolo a ripensare costantemente la propria identità e a valorizzare la possibilità di  meticciamento”. Tale laicità è ancora in cammino nella stessa Europa, ma l’Europa si è fatta sempre consapevole che lì sta il proprio Senso e il proprio più intimo Valore. E lo sta rielaborando, affinando, e offrendo anche come modello di convivenza planetaria nel tempo in cui le relazioni (e gli intrecci) tra i popoli, le culture, le identità si sono fatte più strette, le convivenze più necessarie, le condizioni di dialogo più imperative. Il modello-laicità europeo si offre oggi come un modello comune per tutti i popoli, esportandovi pratiche e principi (dalla abolizione della pena di morte ai diritti umani) – sia pure con difficoltà e a stop and go -  e attecchendo, via via, nelle loro politiche o, almeno, inserendosi in esse come una nuova possibilità o un nuovo indicatore. Certamente il suo camminare verso il successo  è ancora sub-judice, anzi – forse – tutto da giocare e tale percorso implica la valorizzazione dell’operato delle istituzioni internazionali (ONU in testa), la costituzione di tribunali per la difesa dei diritti umani (come quello de L’Aja), una serie di politiche di aiuto e di sviluppo ai paesi in difficoltà che sanzioni anche l’accoglienza di regole etico-politiche connesse al principio di laicità. E certamente anche in Europa tale visione civile e politica non ha trovato espressione in una Carta dell’Unione, anche se dovrà farlo, e farlo al più presto tanto per consolidare l’Unione quanto per dare uno “zoccolo duro” all’identità europea che continua ad essere oscillante e culturalistica.

In questa identità sta una precisa idea di cittadinanza che va esplicitata, coltivata, proposta come modello e fatta agire in vista di quell’”uomo planetario” che è già in cammino ma che, anche, ci sta davanti come un compito. E qui il problema ritorna alla cultura e alla politica, insieme. Torna alla riflessione filosofica, storica, politologica, che deve mettere a fuoco lo stemma di questa identità in tutto il suo scacchiere. Torna alla politica e al suo operari, ma curvandola in senso pedagogico, come attività che legiferando forma e come attività che organizza la “forma di vita” degli uomini, pur senza mai poterne varcare il foro della coscienza e il primato della loro libertà, dimensione questa che spetta illuminare, guidare, organizzare (più che può, poiché la coscienza individuale né la libertà sono “programmabili” o agibili da altri) alla sola pedagogia, come scienza della formazione e come agire per/sulla formazione (che si contrappone a ogni forma di pura conformazione quale esito finale del processo educativo).

Alla luce di questo principio-valore la storia d’Europa si struttura in modo assai diverso da quelle teorizzate fin qui, nazionalistiche, guidate dall’egemonia, fondate sui conflitti, etc. e si delinea un’identità (profonda e ancora in itinere) dell’Europa stessa, a cui – però – è necessario dare una mano (politica, culturale e pedagogica) in questa sua costruzione finale. E sondarne – teoricamente e politicamente – l’esportabilità planetaria.

 

2. La laicità come modello e come valore

 

Tra i caratteri identitari dell’Europa – molti e anche contraddittori, com’è naturale in una realtà complessa, una e molteplice quale l’Europa è, è stata e si è via via costruita e definita (la ragione, la Scienza moderna, il progresso, la democrazia da un lato, con i diritti e le libertà – come ricordava Braudel -; il conflitto, il dogma, la volontà egemonica, la legittimazione della forza, le tensioni totalitarie, l’Olocausto infine, dall’altro lato) – possiamo dire che, nella seconda metà del Novecento, quello che si è affermato sempre più come centrale è proprio la laicità. Laicità distinta da laicismo, che di quella è solo un momento, una tappa, un ingrediente. Laicismo è controllo e riduzione del potere ecclesiastico e del dominio della Chiesa nella società, forieri entrambi di intolleranza, di conformismo, di illibertà. Combattere le tentazioni teocratiche delle Chiese diviene necessario per far maturare la società democratica che nella laicità trova il proprio volano. Laicismo è anticlericalismo, lotta al giurisdizionalismo ecclesiastico, riduzione della fede a affare di coscienza e della religio a un’appartenenza in interiore homine. Laicità, invece, è un cosmo complesso di valori, e valori storici, che sono stati un’ardua conquista nella società occidentale e che in essa vigono sì, ma sempre evidenziati, ridiscussi, messi in questione e che, quindi, vanno fissati, coltivati, confermati e – insieme – ri-pensati, sviluppati, ri-acclimatati in contesti diversi.

Quel cosmo di valori – regolato dall’unità/differenza come principio ispiratore o guida – è incardinato intorno a un quadrilatero, costituito da tolleranza, dialogo, integrazione, diritti e conduce al riconoscimento della democrazia come valore. Sono tutti valori e principi che hanno alle spalle una lunga e travagliata storia, costituita di lotte sociali, di battaglie ideali,di sconfitte e riprese, di sviluppi anche per stop and go, e mai conclusa. Anche oggi, quando questi valori/principi ci appaiono come i valori europei. Tra l’altro oggi lo sono proprio perché l’Europa, in più tappe, è stata costretta (è il caso di dirlo) a ripensare se stessa, negli ultimi cinquant’anni, e a fare i conti anche e soprattutto con quel “grembo oscuro” che porta in sé, quel fascio di paradigmi di forza, di egemonia, di totalitarismo che permangono come tentazioni in una cultura che dell’unità, convergenza, continuità, omogeneità ha fatto a lungo il proprio emblema, o almeno quello più diffuso, più persistente e più cogente. Ma dopo il ’45 e l’Olocausto, dopo la decolonizzazione, dopo lo stesso 1989 l’Europa non ha potuto che ripensare se stessa,sotto la spinta anche del suo processo di unificazione (ancora in corso, ma che è sempre più un fattore-chiave della sua storia attuale e del suo compito planetario), e di un’unificazione che pone anche una rottura rispetto al passato di lotte, conflitti, egemonie interne e esterne.

È in questo contesto che il valore-tolleranza si è imposto. Anch’esso viene da lontano: da Erasmo, da Voltaire, tanto per fermarsi alla cultura religiosa e laica. Oggi si impone anche per il nuovo volto dell’Europa (unità nella diversità) e per il suo nuovo ruolo di accoglienza rispetto all’immigrazione (che risveglia sì i rifiuti e le chiusure, ma che impone anche regole di ricezione nelle pratiche e di tolleranza nella mentalità comunitaria). Tolleranza è pluralismo e rispetto delle differenze. Ma la tolleranza si integra col dialogo, con la volontà/capacità di vedere l’altro come un volto, come un soggetto carico di sue tradizioni, con le quali confrontarsi e nel confronto dar luogo a uno spazio di integrazione delle varie identità. Da qui la centralità del valore-integrazione, della stipula di accordi, formali e/o vissuti, che danno luogo a regole, a diritti, a una forma mentis nuova, inedita anche, da costruire strada facendo. E ciò vale dentro la stessa Europa e oltre di essa, con gruppi che da altre aree del mondo entrano a far parte del concerto europeo. Integrazione difficile (si pensi solo al dislivello culturale e politico presente tra Europa dell’Ovest e quella dell’Est, e quella balcanica in particolare) e ancora in cammino. E sono proprio i diritti – comuni, riconosciuti, interiorizzati – che possono fungere da integratori-chiave, e soprattutto i diritti umani (del rispetto della persona oltre che delle identità/appartenenze; di libertà, di autonomia, di autodeterminazione, etc.; diritti umani da definire, da legiferare, da incardinare in codici che li espongano alla presa di coscienza collettiva e li impongano come regole dell’azione, pubblica e privata). Ma anche questo è un processo in itinere, nient’affatto già concluso e ben definito. È un compito aperto.

Allora la laicità dell’Europa si rivela come un problema di formazione, di formazione alla cittadinanza europea che può/deve divenire modello anche planetario, poiché si manifesta – oggi – come il paradigma più maturo di convivenza, anche se complesso e difficile, sofisticato anche rispetto alla logica-di-appartenenza o rispetto, ancora, al melting-pot  statunitense, che è fondato più sul criterio dello stare-accanto (con appartenenze diverse) che su quello dell’integrazione. La laicità europea è un modello pedagogico e ha bisogno di un’azione educativa per imporsi, diffondersi, agire in interiore homine.

 

3. Il compito pedagogico

 

Sì l’Europa ha un compito pedagogico, legato all’esportazione del suo principio di laicità, che è  il prodotto più alto, complesso, anche difficile della sua storia. Un principio non  garantito, né oggi né domani, ma da  garantire, da affermare/diffondere/radicare nell’habitat  planetario che la storia attuale sta costruendo.

Ma è esportabile tale principio? Sì, se ad esso non si dà il volto di un’imposizione, bensì quello della costruzione in comune, in un tempo che vede l’impegno planetario come inaggirabile. Si tratta, certo, di farlo maturare, di costruirlo-insieme, di sottoporlo a nuove ri-contestualizzazioni, ma l’importante è che operi e si affermi. Poiché altri modelli di convivenza (libera e responsabile) non abbiamo a disposizione. Si tratterà ancora di etnocentrismo, di eurocentrismo? No. Qui l’Europa agisce come dispositivo flessibile, come educatore e non come conquistatore. Qui l’Europa si “pone al servizio”, consapevolmente e senza arrière-pensées, senza cripto-egemonie. Solo che essa ha  oggi – nel proprio DNA rinnovato e decantato – attivo in sé questo principio/valore, che è l’unico atto a costruire una convivenza planetaria democratica.

Allora all’Europa spetta un compito pedagogico. Di pedagogia etico-politica. Che deve trovare attuazione dentro l’Europa, per farsi paradigma teorico e pratico anche all’esterno, fuori di essa. Paradigma di formazione individuale e collettiva. Qui l’azione della scuola, dei media, della cultura si fa decisiva, ma anche la stessa politica deve prendere coscienza del suo compito pedagogico, che le è – ad un tempo – supporto e guida. Il nesso politica-pedagogia deve farsi ora più esplicito e cruciale (come quello – simmetrico – tra pedagogia e politica).  Le due attività devono vedersi come integrate e parallele, proprio per realizzare una convivenza che non tanto sul potere e sulla forza si venga a realizzare, quanto su comuni valori vissuti insieme, e da tutti, e sempre di più. Ma tale processo è in marcia? Sì, lo è. Bastino due esempi e una considerazione. Primo esempio: la crescita dei diritti umani, di una politica e di un’etica dei diritti umani a livello mondiale. Si pensi al tribunale de L’Aja; si pensi ai richiami in tal senso delle stesse Chiese (con la cattolica in testa); si pensi al lavoro teorico e organizzativo che su questo piano si viene compiendo. E si pensi come quei diritti vogliono e devono essere pedagogici, fissati e mostrati per essere vissuti. Secondo esempio: lo “sviluppo sostenibile”, che implica accordi col Terzo Mondo, riduzione dell’autonomia dei Paesi Avanzati, rispetto di regole comuni e di applicazione planetaria. In entrambi i casi l’Europa è al volano, guida la marcia, sviluppa un ruolo di sostegno e di orientamento: pilota, possiamo dire. E lo sente, sempre di più, come proprio compito.

Considerazione finale: l’idea di neocittadinanza, insieme etnica, nazionale, internazionale e planetaria è in marcia e trova proprio in un modello democratico aperto e avanzato il proprio vettore. L’Europa è il cantiere di questa neocittadinanza più di altre zone geografico-storiche, per le ragioni già dette. Ma ciò la rende anche più responsabile di come andrà a configurarsi la storia socio-politica del mondo a venire. Senza ipotesi egemoniche, ma con spirito di servizio, come già detto, e di servizio educativo.

 

 

 

Bibliografia

 

AA.VV., Storia d’Europa I. L’Europa oggi, Torino, Einaudi, 1993.

 

N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990.

 

F. Braudel, Il mondo attuale, Torino, Einaudi, 1966.

 

F. Braudel, L’Europa e gli europei, Bari, Laterza, 1987.

 

F. Chabod, Storia dell’idea di Europa, Bari, Laterza, 1961.

 

J. Derrida, Oggi l’Europa, Milano, Garzanti, 1991.

 

J.B. Duroselle, L’idea di Europa nella storia, Milano, Edizioni Nuova Milano, 1965.

 

J.-P. Faye, L’Europe une: les philosophes et l'Europe, Paris, Gallimard, 1992.

 

J. Fontane, L’Europa allo specchio, Bari-Roma, Laterza, 1995.

 

H. G. Gadamer, L’eredità dell’Europa, Torino, Einaudi, 1981.

 

B. Geremek, Le radici comuni dell’Europa,  Milano, Mondadori, 1991.

 

E. Hobsbawm, T. Ranger (a cura di), L’invenzione della tradizione, Torino, Einaudi, 1987.

 

R. Lopez, E. Morin, Pensare l’Europa, Milano, Feltrinelli, 1987.

 

C. Noteboom, Come si diventa europei, Milano, Linea d’Ombra, 1994.

 

L. Passerini (a cura di), Identità culturale europea, Firenze, La Nuova Italia, 1998.

 

K. Pomian, L’Europe et ses nations,  Paris, Gallimard, 1990.

 

H. Schulze, Aquile e leoni. Stato e nazione in Europa, Roma-Bari, Laterza, 1994.

 

N. Trubeckoj, L’Europa e l’umanità, Torino, Einaudi, 1982.